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Termini e condizioniAddio all’Abilitazione Scientifica Nazionale
L’ASN prevedeva che l’idoneità all’insegnamento universitario fosse decisa da commissioni nazionali, con una forte enfasi sulle pubblicazioni scientifiche dei candidati. Questo sistema, pensato per garantire oggettività, ha però mostrato limiti evidenti: da un lato ha creato una platea di abilitati molto più ampia rispetto ai posti effettivamente disponibili, generando aspettative spesso disattese; dall’altro, ha trascurato aspetti fondamentali come la capacità didattica e il contributo sociale dei docenti, la cosiddetta “terza missione” dell’università.
Il nuovo disegno di legge elimina quindi la centralità dell’ASN, sostituendola con un sistema di autocertificazione dei requisiti minimi, che i candidati dovranno caricare su una piattaforma informatica del Ministero dell’Università e della Ricerca. In questo modo, lo Stato fisserà criteri nazionali, ma la gestione dei concorsi sarà affidata alle singole università, che potranno valutare anche altri aspetti, come le competenze trasversali e la capacità di insegnamento.
Nuove commissioni e valutazioni biennali
Un’altra novità riguarda la composizione delle commissioni giudicatrici: saranno formate da un membro interno all’ateneo e da membri esterni selezionati tramite sorteggio nazionale tra i docenti dello stesso settore scientifico-disciplinare. Questo meccanismo mira a ridurre il rischio di localismi e a favorire la mobilità interuniversitaria e internazionale, allineando il sistema italiano agli standard europei.
La riforma introduce inoltre una valutazione biennale dei docenti e dei ricercatori. L’esito di queste valutazioni avrà un impatto diretto sui finanziamenti pubblici destinati alle università: gli atenei che sapranno attrarre e selezionare i candidati migliori potranno contare su maggiori risorse. In questo modo, il merito e la qualità della ricerca e della didattica diventano criteri centrali non solo per la carriera dei singoli, ma anche per la competitività degli atenei.
Più autonomia e responsabilità alle università
Con la nuova legge, le università italiane avranno maggiore autonomia nella scelta dei propri docenti, ma dovranno anche assumersi più responsabilità nella gestione delle selezioni. La piattaforma ministeriale garantirà trasparenza e uniformità nei requisiti minimi, ma la valutazione finale sarà locale, permettendo così di valorizzare la specificità dei diversi atenei e dei vari settori disciplinari.
La riforma riguarda anche il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato, categoria che negli ultimi anni ha protestato per la precarietà delle condizioni di lavoro. L’obiettivo dichiarato è semplificare le procedure, ridurre i tempi di accesso e favorire percorsi di carriera più chiari e meritocratici.
Criticità e prospettive
Non mancano però le perplessità. Alcuni rappresentanti del mondo accademico temono che la riforma possa accentuare le disparità tra atenei e aumentare il rischio di decisioni arbitrarie. Altri sottolineano come il peso delle pubblicazioni scientifiche, pur ridotto nella fase di selezione, resterà centrale nelle valutazioni periodiche, rischiando di perpetuare la logica del “publish or perish”.
Resta il fatto che la riforma segna un cambio di paradigma: dalla selezione centralizzata e standardizzata si passa a un modello più flessibile, che punta su autonomia, responsabilità e valutazione continua. Un cambiamento che, se ben attuato, potrebbe rendere il sistema universitario italiano più dinamico, competitivo e in linea con le migliori pratiche internazionali.