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Termini e condizioniCos’è un decreto minotauro
Con “decreto minotauro” si indica una particolare tecnica legislativa utilizzata dal Governo e dal Parlamento italiano per aggirare il limite costituzionale dei 60 giorni previsto per la conversione dei decreti legge. Secondo l’articolo 77 della Costituzione, infatti, un decreto legge – atto normativo adottato dal Governo in casi di necessità e urgenza – perde efficacia se non viene convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione.
Il decreto minotauro si realizza quando, poco prima della scadenza dei 60 giorni, il Governo abroga formalmente il decreto legge in scadenza ma “trasferisce” le sue norme in un altro decreto legge o, più spesso, in un emendamento alla legge di conversione di un altro decreto legge ancora in corso di esame. In questo modo, le disposizioni originarie continuano a produrre effetti, aggirando di fatto il limite temporale imposto dalla Costituzione.
Il nome “minotauro” richiama il celebre mostro della mitologia greca, simbolo di qualcosa di ibrido e complesso, proprio come il risultato di questa prassi: un testo normativo che ingloba e assorbe più decreti, creando un vero e proprio “labirinto” legislativo.
Come funziona nella pratica
Nella pratica, il decreto minotauro si concretizza così:
Questa tecnica è stata usata soprattutto durante la pandemia, quando la produzione di decreti legge era molto intensa, ma continua a essere praticata anche oggi.
Critiche e rischi del decreto minotauro
La prassi dei decreti minotauro è stata più volte criticata dalla Corte costituzionale, dal Comitato per la legislazione della Camera e da numerosi costituzionalisti. Le principali obiezioni sono:
La Corte costituzionale ha definito questa prassi come “pregiudizievole per la chiarezza delle leggi e per l’intelligibilità dell’ordinamento” (sentenza 58/2018).
Il decreto minotauro, in sintesi, rappresenta una scorciatoia normativa che consente al Governo di prolungare la vita dei decreti legge oltre i limiti fissati dalla Costituzione, ma a prezzo di una minore trasparenza e di un indebolimento del ruolo del Parlamento. Una prassi che, secondo molti esperti, dovrebbe essere limitata il più possibile, per garantire la chiarezza e la democraticità del processo legislativo italiano.