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Cos’è la CTE e perché colpisce i giocatori di football americano
July 30, 2025 at 5:00 AM
by Redazione
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Lo scorso 28 luglio, Shane Tamura, un ex giocatore di football americano di 27 anni, ha fatto irruzione armato in un grattacielo di Manhattan che ospita la sede della lega professionistica NFL, aprendo il fuoco e uccidendo quattro persone prima di suicidarsi.

Nei giorni successivi, è emerso che Tamura aveva lasciato una serie di biglietti nei quali attribuiva la responsabilità delle sue condizioni mentali e dei suoi disturbi comportamentali al football praticato in gioventù, e in particolare all’encefalopatia traumatica cronica, domandando persino che il suo cervello fosse studiato in sede autoptica per confermare la diagnosi sospettata.

L’episodio, che costituisce una delle stragi più gravi avvenute a New York negli ultimi venticinque anni, ha acceso un intenso dibattito sulla sicurezza degli sport di contatto e sulla responsabilità delle istituzioni sportive, accusate di aver per lungo tempo ignorato o minimizzato la correlazione tra i traumi cranici subiti dagli atleti e lo sviluppo di gravi patologie neurodegenerative.

Cos’è la CTE: cause, sintomi e conseguenze

L’encefalopatia traumatica cronica è una malattia cerebrale degenerativa progressiva, diagnosticata principalmente post mortem, che deriva dall’accumulo di lesioni cerebrali causate da ripetuti traumi o microtraumi alla testa nel corso degli anni. La CTE è stata osservata non solo nel football americano, ma anche in altri sport di contatto come il pugilato, il rugby, l’hockey su ghiaccio e le arti marziali miste.

Tuttavia, il football resta emblematico per la frequenza e la gravità con cui si manifesta: secondo recenti studi, fino al 99% dei giocatori professionisti americani esaminati dopo la morte presentava tracce della malattia, spesso già dopo carriere a livello dilettantistico o scolastico.

I sintomi della CTE si sviluppano solitamente anni o decenni dopo la fine dell’attività sportiva e comprendono gravi disturbi dell’umore (irritabilità, depressione, esplosioni di rabbia), alterazioni della personalità, perdita di memoria, deficit cognitivi fino alla demenza, pensieri suicidi e comportamenti violenti. Essendo una taupatia, la malattia comporta l’accumulo anomalo di una proteina chiamata tau, che danneggia progressivamente le cellule nervose. La diagnosi definitiva si ottiene solo attraverso analisi autoptiche sul tessuto cerebrale, motivo per cui molti atleti deceduti sono stati oggetto di studio negli ultimi anni.

Perché colpisce soprattutto i giocatori di football

A rendere il football americano particolarmente a rischio è la natura stessa del gioco, che prevede impatti frequenti e violenti tra i giocatori, spesso volontari e ripetuti ad ogni azione, anche se non sempre accompagnati dalla perdita di coscienza o dalla diagnosi di commozione cerebrale vera e propria. Posizioni come quella di running back — lo stesso ricoperto da Shane Tamura ai tempi delle scuole superiori — risultano ancora più esposte per via della forza degli scontri e della frequenza dei contatti.

La NFL, dopo anni di resistenze, ha ammesso pubblicamente l’esistenza di una correlazione tra la pratica sportiva e i danni cerebrali permanenti, stanziando oltre un miliardo di dollari a favore degli ex atleti colpiti da patologie neurodegenerative. Ma la questione resta controversa, soprattutto per il fatto che il rischio può coinvolgere anche i giovani giocatori delle leghe scolastiche e universitarie, e non solo i professionisti.

Il futuro tra prevenzione e ricerca

La tragica vicenda di New York dimostra quanto ancora poco si sappia sulla CTE e sui rischi a cui sono sottoposti milioni di giovani e adulti che praticano football americano e sport simili. Mentre la ricerca scientifica continua a indagare sulle modalità di sviluppo della patologia e l’eventuale predisposizione individuale, cresce anche la pressione su federazioni e istituzioni affinché rafforzino le misure di prevenzione, diagnosi precoce e assistenza agli atleti, al fine di scongiurare nuove tragedie.

Nel frattempo, casi come quello di Shane Tamura mettono in luce il grande costo umano — spesso silenzioso — che alcuni sport di contatto hanno finora lasciato dietro di sé. La consapevolezza e l’informazione restano, oggi più che mai, il primo strumento per affrontare il problema in modo responsabile.

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