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Termini e condizioniDal dominio ottomano al mandato britannico
Per comprendere la nascita dello Stato Palestinese, è necessario partire dal periodo di dominazione ottomana. La Palestina entrò infatti a far parte dell’Impero Ottomano nel 1516-1517, rimanendo sotto il suo controllo per circa quattro secoli. In questo lungo periodo, la regione era caratterizzata da una notevole autonomia locale, sebbene la Sublime Porta mantenesse un saldo controllo sulle città principali, come Gerusalemme, che godeva di uno status particolare. Fu proprio all’interno di questo contesto che si svilupparono le prime tensioni tra le diverse comunità religiose e culturali che popolavano la zona.
Lo scenario cambia poi radicalmente con la Prima Guerra Mondiale: la sconfitta degli Ottomani sancisce la fine del loro dominio su tutto il Medio Oriente. Nel 1917 le truppe inglesi conquistano Gerusalemme e, al termine della guerra, la Società delle Nazioni affida formalmente alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina. Questo mandato, avviato ufficialmente nel 1922, nasce con l’obiettivo dichiarato di guidare i territori verso l’autonomia, ma è anche fortemente condizionato dal sostegno britannico al “focolare nazionale ebraico” previsto dalla Dichiarazione Balfour del 1917: una posizione che susciterà immediatamente forti contrasti tra la popolazione araba autoctona e i nuovi immigrati ebrei.
Dalla spartizione alla guerra: la nascita di una questione aperta
Durante il mandato britannico, il numero di ebrei immigrati cresce esponenzialmente, soprattutto negli anni ’30 e ’40, aumentando le tensioni con la popolazione araba della regione. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale e con la terribile tragedia della Shoah, la comunità internazionale avverte la necessità di trovare una soluzione definitiva. Nel 1947, l’ONU approva il piano di spartizione della Palestina, che prevedeva la creazione di due Stati: uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale.
Gli arabi palestinesi respingono però la soluzione, temendo una spartizione ingiusta e la perdita di territori, mentre la leadership sionista proclama la nascita dello Stato di Israele il 14 maggio 1948. Segue immediatamente un conflitto armato con i Paesi arabi vicini, che porta all’occupazione israeliana di gran parte dei territori previsti per lo Stato Arabo e al primo esodo di centinaia di migliaia di palestinesi. Dopo la guerra, la Cisgiordania finisce sotto il controllo della Giordania, la Striscia di Gaza sotto quello dell’Egitto, e lo Stato Palestinese rimane solo un progetto sulla carta.
La proclamazione dello Stato di Palestina
Solo nella seconda metà del Novecento prende forma la rivendicazione nazionale palestinese, che trova espressione nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Dopo decenni di conflitti e con l’immobilismo della questione palestinese, il 15 novembre 1988 il Consiglio Nazionale Palestinese proclama a Algeri l’indipendenza dello Stato di Palestina, rivendicando come proprio territorio quello occupato da Israele nel 1967, ossia Cisgiordania e Striscia di Gaza, con Gerusalemme Est come capitale. Questa dichiarazione è riconosciuta da molti Paesi, ma non cambia la realtà sul terreno: i territori rimangono sotto occupazione o controllo militare israeliano almeno in parte, e i confini effettivi dello Stato di Palestina non vengono mai realmente definiti.
Oslo e il processo ancora incompiuto
Nel 1993 i cosiddetti Accordi di Oslo segnano la prima intesa autonoma tra Israele e OLP: Israele riconosce l’OLP come rappresentante dei palestinesi, e la Palestina ottiene una limitata autonomia amministrativa su alcune zone della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Tuttavia, il processo verso uno Stato palestinese pienamente sovrano subisce ripetuti stallì e resta tutt’ora incompiuto. Attualmente, la Palestina è riconosciuta da circa metà dei governi mondiali e dall’ONU come Stato osservatore, ma la soluzione definitiva del conflitto resta lontana, tra occupazione, rivendicazioni territoriali e negoziati senza esito stabile.