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Termini e condizioniIl blocco navale imposto da Israele sulla Striscia di Gaza è una misura di interdizione marittima che, di fatto, isola l’enclave palestinese da qualsiasi accesso diretto via mare al resto del mondo dal 2009, con significative restrizioni già a partire dagli anni Novanta. Questa strategia è parte di un più ampio assedio imposto da Israele (e in parte anche dall’Egitto) dopo l’ascesa al potere di Hamas. Il blocco mira a impedire il rifornimento di armi e materiali bellici all’organizzazione, ma ha profonde ripercussioni sulla popolazione civile e sulle attività economiche e umanitarie della Striscia.
Come funziona il blocco navale?
Israele considera le acque che si estendono per 12 miglia nautiche dalla costa di Gaza zona militare riservata e ne vieta la navigazione a tutte le navi in ingresso e in uscita, salvo rare eccezioni negoziate di volta in volta per motivi umanitari, o autorizzate tramite il porto israeliano di Ashkelon. Nemmeno le imbarcazioni da pesca di Gaza sono libere di muoversi: la zona di pesca permessa è stata negli anni ridotta a pochi chilometri dalla costa, con pesanti danni all’economia locale.
Qualsiasi tentativo di violare il blocco viene considerato un “atto ostile” da Israele. Le navi sospettate vengono intercettate dalla marina militare israeliana anche in acque internazionali, come avvenne nel 2010 con la nave Mavi Marmara della Freedom Flotilla, in cui morirono 10 attivisti turchi. In caso di sospetta forzatura del blocco, Israele dichiara la sua intenzione di utilizzare ogni mezzo, compresa la forza, per impedire l’accesso diretto a Gaza di imbarcazioni civili, comprese le missioni umanitarie come la recente Global Sumud Flotilla.
Profili giuridici e controversie
Secondo il diritto internazionale, il blocco navale non è vietato a priori, ma deve rispettare limiti stringenti. Il Manuale di Sanremo considera legittimo un blocco solo se la popolazione rimane adeguatamente rifornita di beni essenziali. Il Consiglio di Sicurezza ONU e varie commissioni umanitarie sottolineano che se il blocco produce crisi umanitarie, carestie, o impedisce l’arrivo di aiuti indispensabili, perde ogni legittimità giuridica. Il rapporto Palmer dell’ONU del 2011 ha stabilito la legalità del blocco ma ha criticato le modalità con cui vengono condotte alcune operazioni militari di abbordaggio e controllo.
Inoltre, la Commissione indipendente dell’ONU sui diritti umani e molte Ong hanno più volte affermato che, nella prassi odierna, il blocco produce privazioni inaccettabili per la popolazione di Gaza, ostacolando anche gli aiuti alimentari e medici nei periodi di massima emergenza.
Impatti umanitari e reazioni internazionali
Il blocco navale, insieme alle restrizioni via terra, contribuisce a rendere la crisi umanitaria di Gaza una delle peggiori al mondo: mancanza di cibo, medicine, carburante ed estrema difficoltà di evacuazione per malati e feriti sono all’ordine del giorno. Questa situazione ha suscitato critiche da parte di numerosi governi, enti umanitari e autorità religiose, e ha dato origine a numerose iniziative di solidarietà e tentativi di forzare il blocco con missioni civili pacifiche, spesso fermate anche con il ricorso all’uso della forza.
In conclusione, il blocco navale di Israele è uno degli elementi chiave che caratterizza il conflitto israelo-palestinese, teatro di dure controversie legali e politiche, e al centro di uno scontro tra esigenze di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali della popolazione di Gaza